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Borgogna VS Bordeaux: sfida tra titani

Quante volte abbiamo sentito nominare la Borgogna e Bordeaux, due regioni francesi famose non solo per la produzione di vini eccellenti e costosi bensì per le innumerevoli ed importanti vicissitudini storiche di cui sono state protagoniste anche grazie al fatto di essere “terre antiche”.

 

La Borgogna è una delle più antiche terre emerse con un sottosuolo calcareo, marnoso e ricco di fossili marini in cui i monaci delle abbazie hanno scritto le basi del sapere enologico (attingendo al sapere pragmatico degli antichi romani) e non solo! Bordeaux ha avuto un (ri)fondatore d’eccezione, un certo Caio Giulio Cesare che nel 60 a.c. la conquistò a spese del popolo gallico (l’antica Burdigala); successivamente varie vicende politico-economiche ne elevarono il blasone. Inizialmente, volevo fare un confronto alla cieca tra le due zone ma durante gli assaggi pre-degustazione mi sono reso conto che sarebbe stata una forzatura, un confronto impossibile tra due zone che esprimono entrambe “eccellenze enologiche” non paragonabili. Insomma, sarebbe stata una mancanza di rispetto quindi abbiamo impostato la degustazione in modo distinto (ma sempre alla cieca): prima i due bordeaux (di sottozone diverse) e dopo i tre bourgogne (di sottozone radicalmente diverse).

Come già accennato, Bordeaux fu occupata dai romani attorno al 60 a.c. che impiantarono i primi vigneti di VITIS BALISCA (l’odierno cabernet franc) ma nel 1154 d.c. ci fu la svolta politica che fece di questa zona un’oasi di benessere economico legata al vino: l’apparentamento di Eleonora d’Aquitania (la macro regione di cui fa parte bordeaux) con Enrico II d’Inghilterra. Per 300 anni la corona inglese concesse il “PRIVILEGIO DI BORDEAUX” , una sorta di obbligo da parte degli inglesi di acquistare solamente vini di quella regione che portò un’enorme ricchezza alla zona. Gli olandesi, nel 1600, inventori del marketing via oceano, permisero di far conoscere i vini di Bordeaux al resto d’europa ma la svolta “tecnica” ci fu nel 1199 quando “Giovanni senza terra” fondò la “Jurade De S. Emilion” che elencava le prime REGOLE per il controllo dei vigneti in modo da aumentare il livello qualitativo del raccolto.

Quindi nel 1855 Napoleone III fece la classificazione delle zone che ancor oggi regola la “vita enologica” a Bordeaux (a dire il vero un’eccezione fu fatta nel 1973 inglobando lo chateau Mouton-Rotschild a testimonianza del fatto che la forza politico-economica a Bordeaux conta più della qualità del terroir cioè l’esatto opposto della borgogna). I vitigni ammessi dal disciplinare sono il cabernet-sauvignon, il merlot, il cabernet franc ed il petit verdot; personalmente, scelgo sempre bordeaux con presenza di cabernet franc in quanto vitigno progenitore ed originario della zona. Iniziamo con un vino di una sottozona “periferica” della storica Saint Emilion, Montaigne che permette di produrre bordeaux dall’ottimo rapporto prezzo-qualità.

Lo Chateau du Moulin Noir in vendemmia 2016 è costituito da un blend semplice ma ben riuscito: 60% di merlot, per una solida base piacevole e rotonda con i frutti rossi a dominare, più il 40% del “puro” cabernet franc in modo da “complicare piacevolmente” la degustazione con i “sapori verdi” ed un tannino più “austero”!
Assente il cabernet-sauvignon (figlio nobile dell’incrocio tra il franc ed il sauvignon blanc) vitigno usato da molti per la sua “grassezza-rotonda”. Il vino è ottimo sia per la corretta espressione del terroir che come vino in sè! Il prezzo di 25 euro è “commovente sul lacrimevole”; non servono ulteriori commenti. Il punteggio ottenuto è stato di 7,75 ma per il rapporto prezzo-qualità, meriterebbe un bel 9!

Come secondo Bordeaux, ci siamo spostati ad ovest, verso l’Atlantico, nella cittadina di Margaux per un blend comprendente tutti e 4 i vitigni della regione: 43% cabernet-sauvignon, 33%merlot-19%cabernet franc e 5% petit verdot! Il Margaux Chateau Les Hauts du Tertre (gli alti tumuli) in vendemmia 2018 ha mostrato maggior struttura e complessità del precedente con quel 5% di petit verdot e quindi la sfumatura elegante di violetta a chiuderne la degustazione. Direi che questa versione permette di avere una visione completa di tutti i vitigni di bordeaux e delle giuste percentuali di assemblaggio, variabili in base all’annata. Il punteggio ottenuto dai degustatori è stato di 8,63 con un costo salito a 48 euro.

Passiamo alla Borgogna, dove già nel II secolo d.c. i burgundi (ceppo celtico da cui ha preso il nome la borgogna) praticavano la viticoltura con il beneplacito dei romani ma, fu con le prime abbazie di monaci benedettini che il sapere sulla viticoltura si evolvette; nel 630 d.c. i monaci di Bèze quindi nel 900 i cluniacensi dell’abbazia di Cluny e nel 1098 i cistercensi dell’abbazia di Citeaux. Nel 1300 “Filippo l’Ardito” espiantò il vitigno Gamay a favore del più interessante pinot noir poi, nel corso della rivoluzione francese (1700) le parcelle di vigna furono espropriate al clero ed ai nobili fino a giungere al 1861 in cui Jules Laval operò la prima zonazione dei vigneti, tuttora in vigore; nacque il concetto di TERROIR!

Se osservate l’etichetta di un bourgogne, noterete che il nome del produttore (DOMAINE) è scritto con caratteri piccoli rispetto alla denominazione della zona di provenienza in quanto si da maggiore importanza alla natura e meno al blasone o nome del proprietario; il bourgogne è un “vino di terroir” in cui l’uomo non fa altro che “affinare” ciò che la natura crea mentre il bordeaux include una certa “invadenza” dell’uomo che a volte riesce bene, altre meno! Le varie denominazioni prevedono bourgogne generici, village con l’identificazione della sottozona tramite il nome del comune di appartenenza, premier cru e grand cru (vere e proprie porzioni di vigna).

Le vigne sono delimitate da bassi muretti di pietra ed un domaine ha quasi sempre i vigneti dislocati in zone anche lontane, al contrario di Bordeaux dove la vigna è annessa allo chateau ed al boschetto che ne fa parte. Il valore di una vigna in queste zone può arrivare anche a 4 milioni di euro per ettaro; ci sono viticoltori che “vivono bene” con un quarto di ettaro!

Iniziamo la degustazione con un Vosne-Romanèe “vieilles vignes” di Aurelien Verdet in vendemmia 2018; il villaggio è situato nel cuore della Cote de Nuits con un terroir caratteristico per produrre vini con frutto ed eleganza e meno acidità(secchezza), requisiti ampiamente riscontrati nella sua beva. Personalmente, dal pinot noir, il “decano” dei vitigni, mi aspetto sempre un che di “piacevolmente selvatico” associato agli inevitabili piccoli frutti rossi poco maturi; il contrasto tra un sentore di “lampone poco maturo” ed il “terroso” dovrebbe essere una costante nel pinot noir ma questo village da 90 euro, non ne ha quindi bel vino ma senza spinta varietale; comunque, punteggio di 8,50 ed un prezzo “difficile”.

Con il secondo bourgogne siamo scesi a Corton, un villaggio che quasi sconfina nella zona dei bianchi (Beaune) dove il domaine Marguerite Carillon produce il “Corton grand cru Les Marechauds” in vendemmia 2014 dal costo di 120 euro. Da un grand cru (porzione di vigna migliore di una sottozona eccelsa) di una vendemmia esaurita alla fonte da un paio d’anni non ci si può aspettare un prezzo basso; in più, l’ho “dimenticata volutamente” nella cantina dell’enoteca (costruita 58 anni fa dai miei genitori con enorme dispendio economico in quanto inferiore al livello del mare) per 4 anni! Il risultato? Una bomba!

Al primo assaggio ci siamo guardati negli occhi, increduli di cosa avesse fatto il terroir, il tempo e la cantina di papà! Personalità, complessità con le note selvatiche ben integrate nel frutto, UNICITA’ per un vino non più disponibile in quanto le ultime due bottiglie le ho volutamente condivise con i miei amici-clienti perchè il vino, specie quello “unico” è condivisione. Il punteggio di 9,31 ottenuto, parla chiaro. Ultimo vino della serata, un bourgogne della cittadina di Marsannay situata all’estremo nord della borgogna praticamente al confine con la Champagne (c’è solo chablis in mezzo), una zona “ghettizzata” dai grandi e blasonati villages che non ha il riconoscimento di “village” e quindi di premier cru e grand cru.

Ebbene nei pressi di Marsannay c’è un giovane viticoltore, al secolo Ghislain Kohut che ara la vigna ancora con i cavalli da tiro, senza meccanizzazione in quanto autentica espressione dell’integralismo vitivinicolo di queste piccole comunità. Il suo pinot noir “En champs Perdrix” (i campi di pernici) è un vino molto strutturato per la tipologia ma ha anche complessità e del “selvatico”! E’ un vino che ti da lo stesso piacere sia al primo che al quarto assaggio ed è stata una piacevole scoperta dell’importatore italiano Andrea Forestiero che si è girato mezza Francia a caccia di “Archètipi” d’eccellenza! Quanto costa? 55 euro ma a mio avviso ne vale il doppio. Acquistate due bottiglie di questo vino dimenticandone una in cantina; fra pochi anni sentirete parlare di Ghislain e di Marsannay! Voto ottenuto di 8,70 ma dal punto di vista del rapporto prezzo-qualità gli darei un bel 9,50. In conclusione, tutti i vini assaggiati hanno conseguito punteggi alti e questo è un bel risultato per me e per chi me li ha consigliati.

Con un pizzico di presunzione ipotizzo che tra 4-5 anni il “en champs perdrix” arrivi all’evoluzione del grand cru di Carillon ma con una “spinta in più”; io le due bottiglie le ho già “seppellite” in cantina! E voi?
Stefano Grilli – ENOTECARIO ENOTECA SARAULLO ANNO DOMINI 1966 – TORTORETO (TE)

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