Uno studio, di oltre 20 anni fa, diceva le stesse cose di oggi e soprattutto poneva la necessità chiara di mettere in sicurezza le acque di scarico del laboratorio di fisica nucleare e la contestuale realizzazione di uno studio idrogeologico, utile per verificare i rapporti idraulici tra il laboratorio, le gallerie del traforo e gli acquiferi che alimentano gli acquedotti, le sorgenti e i corsi d’acqua che si originano sotto al Gran Sasso.
La relazione era del 2003 e mettere nero su bianco era uno studio commissionato al geologo Giovanni Marrone in collaborazione con l’Università Politenica delle Marche.
La relazione è molto chiara nella sua analisi, evidenzia una serie di criticità dopo l’immissione di liquido tracciante all’interno dei Laboratori di fisica nucleare del Gran Sasso.
Le stesse identiche considerazioni di oggi, quando si sta lavorando per la messa in sicurezza dell’acquifero.
Quello studio, che ora torna tremendamente di attualità, era stato commissionato dall’Acar ora Ruzzo Reti, per verificare una serie di aspetti critici sulla compatibilità tra gli acquiferi e le sorgenti del Gran Sasso con i laboratori e il traforo. Un effetto quello studio geologico lo ottenne. I fondi destinati alla realizzazione della cosiddetta terza canna furono destinati alla messa in sicurezza dei laboratori di fisica nucleare.
La presenza di traccianti nelle vasche di sbarramento dell’acquedotto teramano testimoniano connessioni idrauliche e idrogeologiche con l’area del laboratorio. Pertanto, si legge ancora, sostanze immesse accidentalmente nel sistema di drenaggio nel laboratorio andranno a contaminare le acque sotterranee dell’acquifero che alimenta gli acquedotti”.
Ma le considerazioni delle relazione presentano ben altri rischi di contaminazione e inquinamento.
Gli acquiferi che alimentano i sistemi di captazione sono a rischio di elevato inquinamento a causa di sversamenti di varia natura che in maniera accidentale potrebbero verificarsi dai laboratori. Così come la velocità delle acque sotterranee comporta una elevata vulnerabilità agli inquinanti.
Così come il rischio di immissione di inquinanti nelle gallerie autostradali, con effetti di contaminazione delle acque sotterranee appare elevato.
” I risultati di prova”, sottolinea ancora nella relazione Giovanni Marrone, ” hanno messo in evidenza la carenza di conoscenze idrogeologiche del massiccio del Gran Sasso e in particolare l’assenza di particolari conoscenze sulla circolazione idrica sottostante e sui rapporti idraulici tra i diversi acquiferi (versante teramano e aquilano). Tali conoscenze risultano fondamentali per la delimitazione delle zone di tutela e di riduzione del rischio di inquinamento”. Realizzare opere di tutela delle acque sotterranee e di prevenzione dell’inquinamento non più rinviabili.
LO STUDIO
Relazione finale fluoresceina maggio 2003 (2)