
Valle Castellana. “Perché per restare, davvero, bisogna camminare, viaggiare negli spazi invisibili del margine.”
Scrive così Vito Teti nel suo libro “La restanza” (Giulio Einaudi editore) e non c’era modo migliore di citare l’antropologo calabrese per raccontare la storia di chi ha deciso di restare, di raccontare e tramandare la sua realtà montana teramana al confine con le Marche sui Monti della Laga.
Il nostro Abruzzo è ricco di contrade, paesi semi o del tutto abbandonati, i borghi fantasma come vengono definiti, ma che in passato hanno visto storie di uomini e donne che sono cresciuti tra boschi, montagne, animali donando preziosi ricordi a chi oggi ha deciso di restare.
Luoghi di vita dunque, popolosi e popolati che l’evoluzione naturale della vita hanno purtroppo svuotato pian piano; certi luoghi dove il sisma del 2016 ha abbattuto sogni e speranze di chi credeva nei luoghi d’origine.
Speranze abbattute sì, non di tutti e non per tutti. C’è qualcuno che ha deciso di restare che le sue radici sono profondamente legate con quella terra, qualcuno che ogni giorno fa chilometri e chilometri in auto per rientrare a casa, lì nella sua terra; qualcuno che ha lascia anche tracce scritte di quello che fu il passato dei suoi posti.
E se tutto questo viene da un ragazzo di 34 anni, lascia davvero aperte le porte della speranza per una comunità intera, quella di Valle Castellana in provincia di Teramo.
Un territorio immerso del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga a due passi della Montagna dei Fiori che, insieme alla Maiella, è il punto dove si può sciare guardando il mare.
Il ragazzo che ci racconta la sua restanza è Domenico Cornacchia il quale vive nella contrada di Santa Rufina di Valle Castellana, sui Monti della Laga alle pendici dei Monti Gemelli.
Domenico, iniziamo proprio dalla citazione del libro del professor Vito Teti: Cos’è per te la restanza?
“La restanza non è una scelta passiva, ma un atto di consapevolezza. È la volontà di costruire qualcosa, di mettersi in gioco nonostante le difficoltà. È un modo per valorizzare le radici senza rinunciare alla possibilità di crescere e innovare. Restare non è aspettare, ma reinventare, creando nuove prospettive e contribuendo attivamente allo sviluppo della comunità”.
Perché hai deciso di restare?
“Ho deciso di restare perché mi piace dove vivo e credo che la mia terra abbia ancora molto da offrire. Andarsene sarebbe stata una scelta più facile, ma restare è un atto di amore e resistenza. Ho scelto di dare valore a ciò che mi circonda e di contribuire, nel mio piccolo, a questo territorio”.
Le tue zone tra quelle fortemente colpite dal sisma del 2016; pre e post terremoto, com’è cambiata la vita della tua comunità?
“Il terremoto del 2016 ha segnato profondamente le comunità montane, non solo dal punto di vista strutturale, con la perdita di case, edifici storici e attività economiche, ma soprattutto dal punto di vista sociale. Molte persone sono state costrette a trasferirsi, e il senso di comunità ha subito un forte colpo. La ricostruzione è quasi assente, e il rischio di chiudere definitivamente i paesi è sempre presente. Tuttavia, il legame con il territorio rimane forte, e chi è rimasto continua a lottare, per come può. Per alcuni il senso di appartenenza diventa ancora più intenso, perché chi resta si sente custode di un passato e responsabile di un futuro che non deve spegnersi”.
Comunità montane e realtà cittadine, c’è davvero tutta questa distanza sociale, economica, culturale?
“Sì, la distanza esiste, ma non è solo fisica. Le comunità montane affrontano difficoltà economiche legate alla carenza di lavoro e servizi, mentre le città offrono più opportunità, ma anche un ritmo di vita diverso. Culturalmente, il senso di appartenenza e di radicamento è più forte nei piccoli borghi, mentre nelle città prevale un’identità più fluida. Tuttavia, con le giuste politiche e investimenti, queste due realtà potrebbero avvicinarsi e integrarsi meglio. Entrambe hanno bisogno le une delle altre per la propria sussistenza. Il Festival Culturale dei Borghi Rurali della Laga quest’anno affronta proprio questo aspetto, con un’attenzione al riequilibrio tra aree montane, urbane e costiere, creando un dialogo forte tra questi mondi apparentemente lontani ma pienamente interconnessi. I corridoi fluviali ne sono il principale e naturale collegamento”.
Quali le esigenze più immediate del tuo territorio?
“Le esigenze principali sono la ricostruzione sociale e materiale post-terremoto, la riattivazione dell’economia locale e il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi. Dare un forte perché a chi vuole vivere e vorrebbe tornare in questi territori. C’è bisogno di politiche che incentivino il ritorno dei giovani, che mettano su famiglia e decidano di stabilirsi, la nascita di nuove imprese e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale. Serve una rete di collegamenti migliori, sia fisici che digitali, per superare l’isolamento e creare nuove opportunità. Le amministrazioni dovrebbero avvicinarsi di più alle esigenze dei cittadini, con progettualità importanti nel medio e lungo termine, e non solo guardando oggi per domani o alle prossime votazioni”.
E quelle di un ragazzo come te?
“Mi piacerebbe poter vivere qui senza dover rinunciare a prospettive di futuro. Mi piacerebbe un territorio dove ci siano opportunità di crescita professionale, culturale e personale, senza dover per forza andare altrove per trovare stimoli e soddisfazioni. Sogno un luogo in cui le idee possano fiorire, dove i giovani siano valorizzati e possano contribuire attivamente al cambiamento, senza sentirsi costretti a partire per realizzare le proprie ambizioni”.
Sei autore di due saggi legati a Santa Rufina e al Comune di Valle Castellana: “Resto qui” e “Il tempo vissuto”. Cosa ti ha spinto a scrivere?
“Mi ha spinto il desiderio di raccontare la mia terra, le sue storie, le sue difficoltà e le sue potenzialità. Scrivere è un modo per preservare la memoria, tutelare chi c’è stato prima di noi e lasciare una traccia per chi verrà. È anche un atto di resistenza culturale e sociale. Senza memoria è difficile poter avere un futuro consapevole”.
Viaggi per il mondo, ma torni sempre a casa. Cosa riporti in Abruzzo dalle località internazionali?
“Cerco di riportare nuove idee, nuovi modi di vedere la realtà. Ogni viaggio è un’occasione per imparare e poi applicare ciò che ho visto, nella mia terra. Riporto anche una nuova energia, una voglia di sperimentare e di dimostrare che non esiste un solo modo per abitare il mondo. Girando per il mondo ci si sente piccoli e gli occhi riescono ad essere più freschi una volta che si torna a casa”.
Quanto la cultura può essere un volano importante per la rinascita di un contesto sociale?
“La cultura è fondamentale. Senza cultura, un territorio muore. Eventi, festival, iniziative artistiche e storiche possono ridare identità a una comunità, attirare visitatori e creare nuove opportunità economiche. La cultura, in tutte le sue forme, unisce e permette di osservare con un occhio più consapevole il proprio territorio. È anche un ponte tra le generazioni, uno strumento di dialogo e innovazione”.
Che cosa ti senti di dire a un giovane che vorrebbe restare nella sua realtà nonostante le difficoltà?
“Gli direi di non mollare e di essere consapevole che sarà difficile. Restare non significa fermarsi, ma reinventare la propria terra con nuove idee e progetti. E, soprattutto, gli direi di non sentirsi solo: siamo in tanti a volerci credere, a non voler arrendersi. Creare una rete di giovani, e meno giovani, che condividono questa visione può fare la differenza”.
Cosa desideri per la tua comunità?
“Desidero che possa tornare a essere viva, che le persone possano restare e lavorare qui senza dover scegliere tra il proprio futuro e le proprie radici. Sogno un territorio che sappia valorizzare le sue eccellenze, le sue tipicità. Sogno ancora una comunità dove ci sono bambini che giocano liberi per i paesi e che riempiono le scuole. Vorrei che le nuove generazioni potessero scegliere di restare non per necessità, ma per una reale opportunità di vita dignitosa e soddisfacente, visto che sono territori meravigliosi”. (Francesca Di Giuseppe)