Seconda udienza oggi all’Aquila nel processo in Corte d’Appello per la tragedia dell’Hotel Rigopiano: la parola alle parti civili, tra i ricorrenti in adiuvandum al ricorso della Procura della Repubblica di Pescara.
Tra queste l’avvocato Wania Della Vigna, legale di Silvia Angelozzi, sorella e cognata di Sara Angelozzi e Claudio Baldini, la coppia di Atri tra le 29 vittime della valanga del 18 gennaio del 2017: “Non può passare l’idea, come lascia intendere la sentenza di primo grado, che di fronte a tragedie del genere nessuno si assuma le sue responsabilità. Un’idea di ‘Italietta’ – ha detto Della Vigna fuori dall’aula magna del Tribunale aquilano – che mortifica ancora di più. Penso, ancora oggi, all’ultimo messaggio inviato su whatsapp da Sara Angelozzi alla sorella, ‘qui è un incubo, ci sono 4 metri e mezzo di neve, ma verrà un bob-cat a salvarci’. Lei confidava nelle istituzioni, quelle stesse istituzioni che hanno tradito lei e il marito che avrebbero dovuto lasciare l’Hotel il giorno prima, ma sono stati indotti a restare.”
“Qui si respira un’aria diversa, c’è più predisposizione all’ascolto, ho buone speranze per l’esito del processo”, ha detto la stessa Silvia Angelozzi in un momento di pausa dell’udienza, “La sentenza di primo grado ci ha lasciato tanto amaro in bocca ma sento che questa volta sia quella buona e che i giudici possano tenere finalmente conto di quelle che sono le nostre richieste, richieste di giustizia per le 29 vittime le cui richieste di aiuto, quei terribili giorni, sono state del tutto inascoltate da quelle istituzioni che avrebbero dovuto garantire per la loro sicurezza.”
“L’obiettivo non è tanto quello di sottolineare l’impianto accusatorio, ma rimarcare la carenza dell’impianto motivazionale della sentenza di primo grado”, ha aggiunto l’avvocato Alessandra Guarini, “Questa è una sentenza che io ho definito capovolta, in cui il giudice ha ragionato letteralmente al contrario, e se è vero che l’aspirazione alla giustizia è un tratto caratteristico del Diritto, qui il Diritto è rimasto totalmente incompreso, e quindi noi abbiamo chiesto che questa Corte si pronunciasse, soprattutto rilevando questa censura che abbraccia tutta la sentenza. Il giudice ha scelto l’approccio metodologico sbagliato, e nell’indecisione, nella confusione, anziché che condannare tutti ha assolto pressoché tutti”.