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Abruzzo, nelle aree periferiche quasi 7 case su 10 non sono abitate

In Abruzzo quasi il 40% delle abitazioni risulta non occupato in modo permanente: un dato oltre 11 punti percentuali sopra la media nazionale, che pone la regione come la quarta nel paese per incidenza di case disabitate.

Sono dati preoccupanti alla luce dello spopolamento della regione, che impongono politiche urgenti specialmente nelle aree interne.

L’Abruzzo – come e più del resto del paese – attraversa un importante problema demografico, legato al calo del tasso di natalità e all’abbandono delle sue zone montane e interne.

Come abbiamo avuto modo di ricostruire nella nostra inchiesta “Ritorno in Abruzzo”, si tratta di un fenomeno con cause molteplici, che potrebbe portare la popolazione abruzzese dai quasi 1,3 milioni di abitanti attuali a meno di un milione entro il 2070.

Si prevede che tale tendenza avrà un impatto territoriale molto differenziato, colpendo soprattutto le aree interne, con effetti sull’assetto economico e sociale della regione che in parte sono visibili già oggi. Uno degli indicatori che mostra più chiaramente questa dinamica è lo spopolamento dei paesi e l’incidenza delle case non abitate.

Oltre 300mila case non occupate in Abruzzo

Nel 2021, su un totale di circa 35,3 milioni di abitazioni italiane, poco meno di 9,6 milioni non risultavano occupate in modo permanente da almeno una persona. Corrispondono in termini percentuali al 27,2%. Una quota che in Abruzzo aumenta di oltre 11 punti percentuali rispetto alla media nazionale, assestandosi al 38,7%, pari a 346mila abitazioni su un totale di 895mila case censite. Si tratta della quarta regione in Italia con l’incidenza maggiore, dietro a Valle d’Aosta (56%), Molise (44,6%) e Calabria (42,2%).

Per abitazioni permanentemente occupate si intendono le case che rappresentano dimora abituale per chi ci vive, ovvero il luogo in cui la persona passa gran parte del suo tempo. Per eseguire questa rilevazione, Istat ha considerato le informazioni presenti nel registro statistico dei luoghi, in particolare nella sua componente relativa agli edifici e alle unità abitative.

Una raccolta dati effettuata, nell’ambito del censimento permanente, attraverso l’integrazione delle rilevazioni censuarie con le informazioni di fonte amministrativa, provenienti dalle diverse banche dati in possesso della pubblica amministrazione.

Questi dati vanno letti con il limite di dover considerare l’incidenza di abitazioni mantenute come seconde case, una dinamica che riguarda soprattutto le aree turistiche. Tuttavia, al netto di questo fenomeno, la disponibilità di abitazioni non occupate a livello comunale rappresenta un indicatore interessante per valutare l’impatto dello spopolamento in alcune aree dell’Abruzzo. Come vedremo, soprattutto quelle periferiche e ultraperiferiche, oggi abitate da una popolazione mediamente più anziana e quindi più soggette al fenomeno nei prossimi anni.

Le differenze territoriali sono comunque molto ampie già a partire dai quattro capoluoghi della regione.

In termini assoluti, il capoluogo che presenta più abitazioni è Pescara (65.776) a cui seguono L’Aquila (55.594), Teramo (28.299) e Chieti (28.138).

Concentrandoci su quelle non occupate da dimoranti abituali, L’Aquila è il comune in cui ce ne sono di più: 24.055, pari al 43,3% di quelle presenti. Seguono Chieti (6.482, il 23%), Pescara (12.623, il 19,2%), e Teramo (5.186, il 18,3%).

L’incidenza di abitazioni non occupate riportata dal capoluogo è anche la più alta a livello nazionale, con una percentuale maggiore di 16 punti rispetto a quella italiana (27,2%). Rispetto a questi dati, va ovviamente considerato in parte anche il processo di ricostruzione seguito al terremoto che colpì il capoluogo abruzzese nel 2009.

Risulta leggermente più bassa rispetto alla media nazionale la percentuale di case non occupate a Chieti (circa 4 punti percentuali in meno). Nettamente inferiori alla media nazionale risultano Pescara (8 punti in meno) e quella di Teramo (9 punti in meno).

La peculiarità delle aree interne

Le case non abitate sono però più presenti nelle aree interne della regione, dove il fenomeno incide di più anche a causa della distanza dai servizi essenziali e della minore attrattività economica rispetto ai comuni polo. [che cosa sono le aree interne?]

Nei comuni polo della regione il 26,6% delle abitazioni non risulta permanentemente occupato. Una percentuale che aumenta man mano che ci si allontana da questi centri. Nei comuni di cintura, i cosiddetti “hinterland” dei centri più grandi, la quota raggiunge il 36,2%, nei comuni intermedi il 43%. È però nelle aree periferiche e in quelle ultraperiferiche, quelle in assoluto più distanti rispetto ai poli, che il valore è più alto, rispettivamente al 46,4% e al 68,5%.

Si possono vedere delle differenze anche sul piano della zona altimetrica. La montagna interna è infatti l’area che risente di più della mancata occupazione abituale delle abitazioni: il 53,8% delle case di questo territorio non è permanentemente abitato, contro il 32,5% della collina interna e il 28,8% della collina litoranea.

Isolando solo i comuni costieri (quelli direttamente bagnati dal mare), la quota di case non abitate raggiunge il 31,7%, un valore inferiore di 7 punti percentuali rispetto alla media nazionale.

I primi dieci comuni per incidenza di abitazioni non occupate da dimoranti abituali sono tutti montani. Di questi, 9 si trovano nella provincia dell’Aquila e 4 nelle aree periferiche o ultraperiferiche. Quello che registra la quota più alta è Cappadocia (90,2%, corrispondente a 3.541 abitazioni in termini assoluti) a cui seguono Villa Santa Lucia degli Abruzzi (89,8%) e Rivisondoli (88,5%). Le percentuali minori si registrano invece a Spoltore (Pescara, 16,1%), San Giovanni Teatino (Chieti, 15,3%) e Cappelle sul Tavo (Pescara, 15%).

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