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Sentenza Rigopiano, i giudici su Provolo: “Ritardi ingiustificabili”

Si compone di 600 pagine il faldone con le motivazioni della sentenza di secondo grado emanata dalla Corte d’Appello di L’Aquila sul processo per la tragedia dell’hotel Rigopiano.

Uno dei passaggi chiave, come riporta l’edizione abruzzese del quotidiano Il Messaggero, evidenzia “La necessaria attivazione da parte del prefetto di Pescara in presenza di eventi del tipo di quelli preannunciati sin dal 15 gennaio”, ribadita anche “in maniera inequivocabile dalla deliberazione di Giunta regionale numero 793 del 2013, la quale prevede espressamente nelle ipotesi sia il rischio valanghe sia quello di eventi meteorologici avversi la competenza e diretta responsabilità della prefettura per l’emanazione dello stato di preallarme – allarme – emergenza su scala provinciale e regionale, oltre la responsabilità dell’istituzione del Centro coordinamento soccorsi e del Centro operativo misto”.

Francesco Provolo, prefetto di Pescara in quel tragico 18 gennaio 2017, quando la valanga travolse il resort di Farindola causando, sotto le macerie, 29 vittime, assolto in primo grado e poi condannato in appello per falso ed omissione in atti d’ufficio, è stato messo sotto accusa per la mancata attivazione del centro soccorsi. Ora, i giudici aquilani lo hanno condannato perché “Quantomeno a partire dalle 9 o 10 del giorno 16 gennaio 2017 – recita la sentenza – avrebbe dovuto essere istituito da parte del prefetto Provolo un Centro coordinamento soccorsi che si componeva di 14 funzionari operante presso la Sala operativa permanente (Sop) già individuata nel 1993 e ubicata nella prefettura (la quale avrebbe dovuto essere aperte) caratterizzata dalla già attivazione dello strumentario, parimenti previsto e necessario per il suo funzionamento”.

Quei funzionari condannati insieme allo stesso Provolo che, aggiungono i giudici “per come dallo stesso ammesso, diede incarico al capo di gabinetto Bianco di convocare il Ccs per il momento solo con la funzione di viabilità e conseguente al Comitato operativo per la viabilità (Cov)”.

La Sala operativa fu aperta solo alle 13 del 18 gennaio: “L’attivazione del Ccs non veniva disposta”, prosegue la sentenza, “ma solo dopo l’avvertimento di due scosse di terremoto quando il prefetto invitava gli operatori a scendere presso la sala di protezione civile dove opera il Ccs per continuare a seguire l’evolversi della situazione affrontando le emergenze in atto e quelle emerse nella presente riunione”.

“La scelta adottata da Provolo nella mattina del 16 gennaio e fino alle scosse telluriche del 18 gennaio – motiva ancora la Corte d’Appello – si appalesa sostanzialmente ingiustificabile, non sorretta da un minimo di ragionevolezza ricavabile dal contesto e dai protocolli vigenti con la possibilità di concludere che essa abbia  sostanzialmente trasmodato in arbitrio”.

Al contrario, il presidente della Corte d’Appello dell’Aquila, Aldo Manfredi e il giudice estensore, Domenico Canosa, basandosi sulle perizie svolte tra inchiesta e processo, evidenziano che “l’attivazione del Ccs con le sue funzioni e della adiacente Sop nei luoghi individuati sin dal 2003, doveva essere un fatto pressoché automatico alla luce dell’univoca disciplina di settore e di quanto previsto dalla stessa prefettura di Pescara da tempo, con conseguente configurabilità di una omissione tale da integrare gli estremi del diniego di adempimento privo alcuna logica giustificazione in base alle disposizioni disciplinanti il correlativo dovere di azione”.

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