
Chi di voi non ha mai assaggiato o sentito nominare il famoso Amarone della Valpolicella?
Il nome cozza con la caratteristica morbidezza del vino che ha un gusto “abboccato” tendente all’amabile; il motivo risale al 1942 quando fu “concepito casualmente” dal cantiniere della cantina sociale di Negrar che dimenticò di bloccare la fermentazione del mosto (a quei tempi si beveva un vino dolciastro con un basso tenore alcolico ed un alto tenore zuccherino in quanto servivano calorie, energia e l’alcool dona solamente calorie “vuote” cioè senza apporto energetico ovviamente birra a parte) dando luogo ad un vino “amaro” cioè secco per gli standard di allora e da ciò il nome amarone!
Negli anni a venire questo vino si sarebbe imposto in tutto il mondo acquisendo la doc e la docg; infatti, oggi, lo troviamo su tutte le carte vini dei ristoranti e nelle enoteche a prezzi medio-alti pari a quelli di vini figli di zone storiche e vocate quindi di nobili origini; vedere sullo scaffale un amarone ad un prezzo uguale o maggiore di un barolo, un brunello, un sagrantino di montefalco, un bourgogne “mi fa strano” quindi ho organizzato una degustazione con i miei fedelissimi “carbonari” sul tema con 3 amaroni radicalmente diversi per terroir e “mano produttrice” con l’obiettivo di capire se l’amarone è un vino “completo” quindi meritevole di essere annoverato tra i “grandi archètipi” di vino oppure se dietro quell’etichetta si nasconde una “sirena di Ulisse”!
E’ doveroso dire che ogni vignaiolo (che è anche imprenditore quindi deve lucrare il più possibile) deve ottenere il massimo con il terroir che ha a disposizione cercando di studiare e rispettare l’identità dei vitigni autoctoni e ciò è stato fatto dai valpolicellesi (valpolicella deriva da vallis poli cellae cioè valle dalle molte cantine) i quali hanno compreso che i 4 mesi di appassimento delle uve corvina, molinara e rondinella portavano ad una concentrazione zuccherina ottimale per sviluppare un volume alcolico da 15/17% per la struttura ma soprattutto la buccia delle uve si manteneva integra durante l’appassimento, assumendo un aspetto “raggrinzito” ma non lacerato; ciò permetteva la produzione di precursori aromatici notevoli e complessi che venivano ceduti al vino durante la fermentazione ottenendo un vino morbido ed aromatico molto piacevole.
Se cercate un vino con un bel tannino quindi secco e piacevolmente astringente, complesso, minerale e con marcata lunghezza gustativa, l’amarone non fa per voi. Iniziamo la degustazione con il solito entusiasmo ed approccio costruttivo con una versione classica (sempre di alta qualità ed in versione docg) dell’amarone in pieno rispetto del terroir e della tradizione; siamo nella parte interna della “mezzaluna” valpolicella, lontano dal lago di Garda ed in zona pedemontana (monti lessìni) esattamente a S. Briccio (comune di Mezzane) in cui la Tenuta Sant’Antonio dei 4 fratelloni Castagnedi produce il cru Campo dei Gigli in annata 2018 con 15,5% di volume alcolico venduto in enoteca a 55 euro. Nel calice si presenta con un colore vivo, bello e con un bouquet veramente interessante e complessissimo; questo è un vero amarone, figlio della sua terra in cui si può trovare tutto tranne la struttura tannica e la mineralità (anche se è presente non è facilmente percepibile a causa dell’elevato residuo zuccherino).
Passiamo al secondo vino che conserva lo stesso tenore alcolico ma non l’annata /antecedente di un anno quindi 2017) e la sottozona, in questo caso molto vicino al lago di Garda. La data di fondazione della tenuta impressa sull’etichetta richiama subito l’attenzione: 1353! Anche il nome provoca un brivido-caldo:Serego Alighieri! Sì, è quell’Alighieri, il sommo poeta a cui si deve la paternità della lingua più bella, esaustiva e complessa al mondo oltre alla stesura del poema allegorico che ancor oggi è oggetto di studio per la vastità di concetti e di critiche rivolte alla chiesa sotto le “mentite spoglie” dell’allegoria e dell’ironia! Pietro Alighieri, primogenito di Dante, nel 1353 fonda la tenuta sottoforma di foresteria (rifugio per poeti e viandanti) con vigna annessa e “giardino dei poeti” ancor oggi solcato dalla ventunesima e ventiduesima discendenza della famiglia. Più tardi, nel 1500, Ginevra Alighieri prenderà in marito il Conte Serego acquisendo il titolo nobiliare, l’unica cosa mancante ad una famiglia di spessore!
Ricordo, la prima volta che andai a visitare la tenuta in quel di S. Ambrogio di Valpolicella, la difficoltà a trovarne l’accesso a causa di cinta murarie con un perimetro molto esteso; ero convinto si trattasse delle mura del paese invece erano quelle della tenuta! All’interno il vigneto appunto recintato da mura, in lingua locale BROLO in cui tutt’ora è in vita un clone di molinara risalente al 1875! Questa vigna storica produce le uve che, dopo un paziente appassimento di 4 mesi in locali ventilati naturalmente (ma con soccorso tecnologico qualora i parametri di umidità e temperatura non siano ottimali) danno “vita” al Vaio Armaron (piccola valle dell’amarone) Serego-Alighieri in cui, oltre alla tradizionale eleganza dell’amarone troviamo un tannino decisamente presente ma soprattutto tanta mineralità (sapore), qualità rara per questo tipo di vino.
La vigna vecchia, impiantata in un luogo “non a caso” la sapienza e le botti in legno di ciliegio (rarissime) ci hanno proposto un vino veramente interessante per il tema affrontato. Ottimo e colmo d’identità! Il costo di 77 euro per degustare un pezzo di storia è giusto soprattutto se paragonato ai numerosi amaroni da oltre 100 euro senza senso! Passiamo al terzo vino spostandoci solamente un chilometro o poco più in una grande azienda che ha optato per una versione “diversa” dell’amarone, dove “il vignaiolo” ha pensato di aggiungere un quarto vitigno dal nome poetico di OSELETA, varietà autoctona locale abbastanza rara di cui l’agricola Masi (azienda vitivinicola quotata in borsa) ne possiede abbastanza; questo per conferire un marcato apporto di tannino di cui questa uva è ricca. Ha un acino minuto con solamente un vinacciolo ma la sua buccia contiene preziosi tannini di cui le “sorelle” corvina molinara e rondinella non sono ricche.2018 come annata e 15,5% di volume alcolico i dati del Costasera riserva di Masi assaggiato che nel calice ha rivelato un colore decisamente più scuro degli altri, un bouquet quasi nullo e notevole struttura in bocca priva però degli aromi del campo dei gigli e della mineralità del vajo armaron: risultato? un vino tecnicamente perfetto, fatto da mani sapienti ma senza identità; ha acquisito struttura tannica ma ha perso le caratteristiche per cui si sceglie un amarone rimanendo nel “limbo” dei vini frutto di atteggiamenti apoteotici dell’uomo!
Invece, il recioto della valpolicella cioè la versione volutamente dolce dell’amarone di Masi (angelorum) si è rivelata meravigliosa con un frutto bello, vivo ed abbinarlo al formaggio Piemonte valgrana ed ai dolcetti di carnevale preparati dalla mia cliente/degustatrice docg professoressa Annibali, è stata una goduria! Anche la grappa di amarone BIANCA quindi non barricata della tenuta s.Antonio prodotta con le vinacce dell’omonimo amarone, ha rivelato tutto il varietale dei vitigni che vengono persi in versione “barricata”! Affrontare l’argomento dell’identità dei vini è sempre scottante e difficile ma, qualcuno deve pur farlo. L’amarone è un vino sopravvalutato economicamente (non può costare tre volte di più di un ottimo sagrantino di montefalco oppure come un barolo di spessore) e non si può definire un vino completo. Il Vaio Armaron, rappresenta l’eccezione!
Stefano Grilli – enoteca SARAULLO- anno domini 1966