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La sapidità del vino nelle sue varie espressioni

I criteri per stabilire se un vino può ritenersi buono

In base a quale criterio un vino si può ritenere buono? Innanzitutto quando ci piace, ci da emozione ma non si può prescindere da un giudizio oggettivo di cui il più importante è la mineralità o più semplicemente sapidità, insomma quel “sapore” che percepiamo alla fine della degustazione quindi dopo aver goduto dei profumi, della struttura alcolica e tannica e degli aromi.

Per me, un vino senza sapidità non è completo e ciò vale anche per quei vitigni aromatici concepiti dalla natura per i profumi, la facilità di beva! Anche nei vini rossi nei quali a causa del tannino pronunciato non è facile provare sapidità, dobbiamo percepire qualcosa alla fine del sorso. Questo è un criterio oggettivo fondamentale per distinguere un vino vero (vino di terroir) da un vino concepito in cantina dall’uomo. Oggi la figura legale ma angosciante del chimico-enologo può compensare le deficienze di una vigna stressata o fatta nascere nel posto sbagliato con manipolazioni ed aggiunte varie ma non riuscirà mai a compensare la deficienza di sapidità sia di origine minerale (sottosuolo) che marina (salmastra).

Quindi, ho organizzato una degustazione in enoteca per cercare di comprendere quanto appena detto in compagnia dei miei “liberi degustatori”. Abbiamo iniziato con la sapidità di origine minerale (sottosuolo) nelle bollicine: un metodo classico (franciacorta) nature dell’azienda “Zero spaccato” ed uno champagne triplice uvaggio della Vallèe de la Marne abbastanza “semplice” cioè senza lavorazioni sui lieviti esagerate e costo contenuto. Lo zero spaccato ha evidenziato una sapidità quasi brutale, diretta ed un vino base insolitamente potente per un “terre di franciacorta” ; questo data la sottozona di ubicazione della relativa vigna cioè il comprensorio di Cazzago S. Martino e Rodengo Saiano (dove 1000 anni fa i monaci benedettini pionieri del vino eressero la famosa abbazia in quanto consci che il sottosuolo di quella zona avesse delle affinità con quello della champagne) con un sottosuolo molto minerale.

Il prezzo dello zero spaccato in enoteca è di 22 euro. La sapidità evidenziata dallo champagne Metèjèr (vigneron indèpendant situato nella zona nord del fiume Marna) Tradition brut è stata meno violenta e ben integrata col vino base ma sicuramente più duratura ed elegante. Questo per far comprendere bene la sapidità del sottosuolo in relazione ai diversi luoghi geografici e terroir.Il prezzo del tradition brut è di 35 euro in enoteca. Passiamo ai vini bianchi fermi con una “piccola novità” valdostana della zona di Introd a rappresentare ancora la sapidità minerale del sottosuolo; il Petite Arvine (da arvena cioè nuovo in lingua montanara locale dl 1600) dell’azienda vitivinicola Lo Triolet di Marco Martin proviene da vigneti di altitudine ( l’ho scelto per evitare alcuna contaminazione salmastra), creati dal granducato di Borgogna nel 1100 disboscando un’area selvaggia, resistenti alle gelate notturne che in valle d’aosta si verificano anche in periodo pre-vendemmia quindi è un vino naturale di fatto.

Vino di bella struttura alcolica(14 gradi) ma di ridotta acidità che lo rende piacevole e permette di “sentire” una mineralità delicata e ben armonizzata con il sentore vegetale che rappresenta il marchio di fabbrica del vitigno. Il costo in enoteca è di 23 euro e potremmo paragonare la sua sapidità a quella dello champagne! Invece, col secondo bianco abbiamo testato la sapidità del sottosuolo più immediata con un moderato influsso marino data la relativa vicinanza al mare della vigna; il Grajan (grugnito in finlandese) dell’azienda vitivinicola Ruggiero di Barletta (BA) è un “bianco non bianco” in quanto frutto di una vinificazione in bianco di un vitigno a bacca nera (uva di troia) autoctono del barese e con soli 13 gradi, ha espresso potenza, mineralità ed una sfumatura di frutti rossi ( dovuto ad un moderato contatto con le bucce) ed ha rappresentato in modo diverso il concetto approfondito nella serata. Inoltre è un vino abbinabile a molti piatti inclusi primi di pesce al sugo. Il costo in enoteca è di 16,50 euro. Passiamo alla sapidità salmastra e come non rivolgerci alla riviera di ponente ligure dove i vigneti sono in deciso declivio sul mare sempre tumultuoso tanto da impregnare l’aria di iodio e “bombardare” le vigne di quel salmastro che attecchisce sulla buccia dell’uva e successivamente a causa della macerazione si ritrova nel vino (tanto per essere chiari lo iodato è il salato che proviamo quando beviamo accidentalmente acqua marina e chi nuota in mare sa a cosa mi riferisco mentre il salmastro è un salato meno diretto e più complesso); il tutto è corredato da un agrumato proveniente dai boschi sovrastanti le vigne. Il Pigato (dal dialetto ligure chiazzato o macchiato in quanto la buccia presenta delle macchie) dell’azienda vitivinicola Sancio di Spotorno (SV) è un vino solare, complesso che mette d’accordo il pagano e l’evoluto e non può mancare nella nostra cantina; molti lo confondono con il vermentino di ceppo ligure-tirrenico ma di fatto è un vitigno autoctono. Costa 19,50 euro in enoteca. Arriva il momento di immergerci in una “realtà vulcanica” per comprendere la sapidità minerale-lavica. Siamo ad Ischia sud dove il monte Epomeo con la sua flora autoctona e le vigne dal suolo vulcanico con la complicità del mare creano un terroir unico; infatti qui abbiamo tutti gli ingredienti per un vino minerale lavico,salmastro ed agrumato cioè la perfezione! La buccia dell’uva (biancolella ovviamente autoctona) risulta ricca di sostanze aromatiche, sapidità e sentori floreali, un patrimonio genetico ceduto al mosto durante la fermentazione con macerazione delle bucce. L’Epomeo bianco del’az. vitivinicola Ruffano di Punta Chiarito è un vino con soli 12,5 gradi alcolici ma di notevole struttura e personalità a riprova del fatto che quando hai una grande materia prima non c’è bisogno di ricorrere alla potenza alcolica elevata. Nonostante fosse il quinto assaggio della serata, ci ha quasi fatto dimenticare i vini precedenti dimostrandosi didatticamente perfetto. Costo in enoteca di 19 euro per un vino che è esaurito! Affrontiamo l’ultimo “ostacolo” della serata con un bell’Etna rosso del produttore Quantico di Linguaglossa (CT) in cui il nerello mascalese (da Mascali) trova un’espressione artigianale più grassa e voluttuosa rispetto alla concorrenza; diciamo che è un etna dove la sapidità vulcanica va a braccetto con un gran frutto ed un’acidità bilanciata. Il costo in enoteca è di 27 euro. Finale con l’amaro Gerlando, infuso d’erbe di Caltagirone (etna) per una serata in cui abbiamo”sapidamente” viaggiato dall’estremo nord fino all’estremo sud della nostra splendida penisola.

Stefano Grilli (enotecario)

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