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Vignaioli estrosi incontrano chef estrosi: a tavola da Massimiliano Capretta

La storia dell’enogastronomia italiana è pregna di atteggiamenti estrosi che ne hanno permesso un’evoluzione tangibile. Tutto ciò grazie al retaggio culturale delle diverse etnìe che ne hanno solcato il suolo ed alla predisposizione naturale dei nostri terreni e mari a regalarci materie prime originali.

 

Ma, come si dice spesso, l’evoluzione non si ferma mai quindi, di concerto con il rappresentante locale della CHAINE DES ROTISSEURS (associazione mondiale volta a diffondere la cultura della gastronomia presente in Italia dal 1960) l’avvocato Edy Della Sala, ci siamo rivolti al noto chef locale Massimiliano Capretta, titolare del ristorante Arca, fresco di pubblicazione del suo libro “BIO CUCINA MEDITERRANEA” in cui narra la sua vita di “chef errante” a caccia della propria identità professionale e personale. A 20 anni ha capito che doveva viaggiare per farsi “contaminare” da usi e costumi gastronomici vari per costruirsi una “banca dati specifica” sul campo invece che sui banchi di scuola, un approccio pragmatico scevro da condizioni e limiti, in totale armonia tra cervello e sensi! Tutto ciò lo ha riversato in questo libro che amo rinominare salutare (per i principi macrobiotici) ed orientaleggiante (per la contaminazione nipponica) dialogo col mio territorio (cucina e materie prime di tradizione abruzzese ).

In 19 siamo stati ben accolti “nell’Arca” di Max al centro di Alba Adriatica dove il portamento del personale ci fa subito comprendere l’enorme cura dei particolari! La curiosità di assaggiare i nuovi piatti di Max è tanta così come il fascino di abbinarci i vini ovviamente fuori dagli schemi tanto per essere in sintonia col padrone di casa. Si aprono le danze con Mattia che sembra “scivolare” più che camminare per servirci l’entrèe di porcino e tofu ( il pasto da Max inizia sempre con una portata calda in quanto predispone lo stomaco alla digestione) quindi una chips di tapioca, humus di ceci e fichi passiti a cui abbiniamo uno spumante metodo classico trentino “nature” da vitigni PIWI (acronimo di pilzwiderstandfahig cioè vitigni resistenti alle malattie fungine) che permettono una viticoltura povera di soccorso chimico in quanto vitigni forti a livello di difese immunitarie; furono creati presso l’università di Friburgo nel 1975 incrociando (a livello di fiore maschile e femminile quindi non un innesto) vitigni progenitori nobili come pinot nero e riesling con altre tipologie locali in modo da ottenere vitigni forti ed unici a livello di caratteristiche organolettiche. Nella fattispecie, lo spumante santacolomba della cantina sociale di Trento è un uvaggio di bronner, johanniter e solaris e si è rivelato delicato ma con qualche tocco di personalità come l’aroma di fieno trentino; inoltre è un omaggio al sapere umano rispettoso della natura appllicato al vino. In enoteca (onesta) lo potete trovare a 18 euro ed è un naturale di fatto in quanto “frutto di un frutto” immune alle malattie. Da notare la bella spiegazione di Dalila Capretta (laureanda in scienze e culture gastronomiche per la sostenibilità)riguardo all’humus di ceci ed ai tipi di pane artigianale da lei preparati. Arriva la cozza all’amatriciana (piatto creato da Max per raccogliere fondi per il terremoto di Amatrice di qualche anno fa) ed il sugo ivi presente mi costringe a cambiar vino andando su un bianco “non bianco” frutto dell’estrosità di un vignaiolo indipendente del barese; il Grajan (grugnito in finlandese) di podere s. ruggiero è una vinificazione in bianco di un’uva a bacca rossa nella fattispecie l’uva di troia, autoctona della zona di Corato(BA) con vigneti che si estendono a ridosso del castello ottagonale di Federico II di Svevia. E’ un vino sia potente che elegante; la struttura e l’enorme sapidità di origine minerale (sottosuolo) permettono di non andare oltre i 13 gradi alcolici e la sfumatura di frutti rossi (è pur sempre a bacca rossa) gli dona un tocco vellutato ed originale. Naturalmente, lo abbiniamo anche al cannolo di patate croccante ripieno di baccalà e sorbetto di peperone arrosto che sembra andare a braccetto con la sfumatura di frutti rossi! Anche con il polpo gratinato e salsa di pannocchia al pomodoro ci sta tutto questo vino artigianale che, ripeto è un omaggio all’estrosità umana (in sintonia con Max).

E’ acquistabile a 16,50 euro in enoteca. Arriva il TERAMARE, piatto innovativo di Max oggetto diverse trasmissioni televisive nazionali che crea una sorta di crasi tra il famoso spaghetto alla teramana ma abbinato con le pallottine di pesce dell’adriatico quindi non di carne. Ero intenzionato ad abbinarci un vino rosato ma, dietro consiglio di Max (che è anche un eccellente conoscitore di vini e di caffè monovarietali da più di vent’anni) ho introdotto un vino rosso ovviamente particolare anzi un vero archètipo proveniente dalla storica isola di S. Pietro (CG), approdo di numerose civiltà (dai fenici fino alla repubblica marinara di Genova) dove il sottosuolo siliceo ed il suolo costituito da sabbie particolari rendono la vite immune dai parassiti (vitigno a piede franco); l’estrema ventosità scongiura il pericolo di muffe in vigna. il “Russu” U Tabarka (lì si parla il tabarkino cioè il dialetto antico genovese) dell’azienda agricola Tancagioia di Carloforte ha struttura elegante con netta percezione di mirto, speziatura di pepe nero e verde e di tutta la macchia mediterranea. Ha moderate note salmastre che non hanno interferito con l’enorme “sapore intelligente” del ragù di pesce di Max. Anche con i bocconcini di rana pescatrice in guazzetto con olive, capperi di Pantelleria e pomodoro il “russu” (acquistabile a 18 euro) si è rivelato interessante, insomma mi è andata bene!Arriva la “dolce” conclusione con la millefoglie fatta in casa con crema diplomatica, frutti di bosco, mandorle e gelato di frutti rossi (il gelato da urlo) ad opera della maitre pasticcera Dalida Capretta al quale abbiniamo per assonanza un primitivo di manduria DOCG dolce naturale (quindi non passito) …un dolce poco dolce in linea con la filosofia di Dalida. Il primitivo “Philia” dell’azienda vitivinicola Feudi Salentini di Leporano (TA) acquistabile a 19 euro nella capacità di 0,75 lt. ha rivelato una complessità esagerata per un vino dolce : frutti rossi, speziatura di pepe fino al salmastro finale che lo rendono polivalente come abbinamenti , formaggi stagionati inclusi. Qualora vi recaste all’Arca non mancate di assaggiare il “DOLCE NON DOLCE” , vera magia di Dalida! E’ stata una serata in cui, da pagano gastronomico, sono cresciuto tanto, completamente in balìa di aromi e sapori sconosciuti (o forse dimenticati) che hanno nutrito anche la mia anima! La piacevole ed evoluta compagnia della Chaine des rotisseurs ha posto la ciliegina sulla torta su una serata di qualità che hanno rieducato il mio approccio all’apprezzamento della gastronomia e compagnia illuminata. Un ringraziamento ad Edy Della Sala per avermi coinvolto nel tutto.

Stefano Grilli – enotecario
Enoteca Saraullo anno domini 1966 – Tortoreto
0861787751

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