
Spesso, “spulciando” le carte dei vini dei ristoranti, noto poche etichette di vini dolci (mi è capitato anche che non ne avessero) peraltro di dubbia tipologia e qualità; se a ciò si aggiunge una scarsa conoscenza specifica dei ristoratori, capirete il motivo di questa recensione!
Il vino dolce, vendemmia tardiva o passito che sia, è considerato una specie di “cenerentola” dei vini, “buttato” sul tavolo a fine pasto magari con i “soliti” cantuccini da imbibire e senza una spiegazione delle caratteristiche. Trent’anni fa, si poteva accettare, oggi, assolutamente no in quanto abbiamo la conoscenza, la scelta ed i mezzi per dare la giusta dignità a questi vini che, se fatti bene, comportano un lavoro “doppio” rispetto ad un vino secco e dimostrano l’enorme versatilità del patrimonio ampelografico italiano!
Essendo un estimatore di vini dolci, mi risulta facile parlarne e, da tempo, ne ho una discreta offerta in enoteca ma quelli interessanti appartengono a piccole aziende artigianali che bisogna andare a “scovare” nelle zone più “nascoste” d’Italia.
Non esiste solamente il passito di Pantelleria o Zibibbo che dir si voglia ne tantomeno il recioto della Valpolicella ma c’è molto altro; la condizione “sine qua non” per produrre un vino dolce buono ed identitario è data dal “terroir” che deve avere una marcata escursione termica notturna, notevole ventosità diurna, grappoli perfettamente integri e non troppo vicini, un suolo ricco di humus ed un sottosuolo ricco di scheletro drenante ma la parte dolente è che bisogna essere disposti a raccogliere solamente 30/35 quintali di uva per ettaro in luogo degli oltre 100 nel caso dei vini secchi.
Quindi, bassa resa, risultato a rischio e tempi lunghi di vinificazione ed affinamento scoraggiano molti viticoltori ed ecco il motivo della scarsa offerta. In 14 ci siamo riuniti nell’ormai storica sede carbonara del vino che, a porte chiuse, diventa “casa mia” per degustare 3 vini dolci “gialli” (di cui uno in versione vendemmia tardiva) e 3 vini dolci rossi ( di cui ben 2 in vendemmia tardiva) abbinandoci dolci al primo “giro” e quattro tipologie di formaggi al secondo giro degustativo.
Iniziamo con una vendemmia tardiva (il grappolo non viene reciso dalla vite quindi continua a ricevere nutrimento dalla vite fino alla vendemmia) di Grillo (griddu), vitigno autoctono della zona Trapani-Palermo frutto dell’incrocio tra il catarratto (da catarrattu cioè quantità) e lo zibibbo (da zàbib cioè uva passa) o moscato d’Alessandria (d’Egitto sbarcato a Pantelleria ad opera dei fenici)) effettuato a metà 1800; il Krysos, in bizantino (535-980 a.c.) “terra d’oro” da cui ha preso il nome la cittadina di Grisi, è un vino color dorato brillante con un discreto bouquet al naso, una dolcezza marcata in bocca che però lascia presto spazio a degli aromi e sapori particolari figli di colline vitate assolate, con una ventosità salmastra che attecchisce sulla buccia dell’uva. Le viti sono ad alberello, una garanzia di alta qualità ed ovviamente bassa resa. E’ un vino poliedrico come abbinamento ma a me è piaciuto con il formaggio brie quindi a pasta molle non aromatico.
Costo di 29 euro per la bottiglia da lt.0,5.
Saliamo in Alto Adige ove l’azienda Lieselehof in quel del lago di Caldaro (terroir eccellente nel bel mezzo della strada del vino) produce lo Sweet Claire, un vino passito particolare già dal vitigno: il Bronner. E’ uno dei famosi vitigni PIWI (vedi recensione “vino piwi moda o storia?”) frutto di incroci tra vitigni locali quasi “dimenticati” e vitigni “progenitori” (non frutto di incroci) come il Riesling. Pinot grigio e nero. Nel calice mostra un colore giallo scuro, preludio a tanto sapore ed unicità che, infatti, troviamo in bocca con una “bomba” di sensazioni e sapori piacevolmente “difficili” da gestire! Questo vino si apprezza al meglio “spegnendo” la mente e navigando “a vista”. Terroir e vitigno particolari, hanno prodotto un passito “unico” che si è espresso bene con dolci al cioccolato fondente spinto anche all’80% e formaggi vecchi ma poco aromatici. Il costo di questo gioiello altoatesino è di 60 euro per la bottiglia da lt.0,37 di capacità.
Il terzo vino dolce giallo proviene dalla Toscana, esattamente dal Valdarno superiore (Arezzo) in cui già nel 1700 il granduca di Toscana Giuseppe Maria Romoli aveva individuato il terroir più interessante soprattutto per la mineralità dei vini! Siamo tra San Giustino Valdarno e Loro Ciuffenna ove un “certo” Salvatore Ferragamo, assieme alla sorella Vittoria ed al papà Ferruccio, sono proprietari de “Il Borro”, non una semplice azienda vitivinicola bensì un borgo medievale (ben ristrutturato) incastonato da splendide vigne in regime di biologico con una varietà di flora e fauna tale da prefigurare un vero e proprio ECOSISTEMA in cui l’unico intruso sembra essere…..l’uomo! Ho avuto modo di solcare tutto il complesso in un trail run memorabile al mattino contornato da vigne, vecchie colombaie, saliscendi verdeggianti avendo come compagni di viaggio i fagiani della riserva di caccia ed il vento……tanto vento, qualità fondamentale di ogni ecosistema. Il Vin santo del Il Borro non è il solito vin santo prodotto con trebbiano toscano e malvasia bensì un “Occhio di Pernice” cioè costituito al 100% da sangiovese (il nome deriva da Sangiovannese cioè di San Giovanni Valdarno) di toscana; nel calice mostra un colore “ambrato” intrigante ed al naso si percepisce la vinosità volta a bilanciare la dolcezza, spina nel fianco dei vini dolci. In bocca manifesta la “forza” in chiave di potenza cioè un piacere senza picchi elevati ma spalmato in una elevata unità di tempo; diciamo che rispetto al “centometrista” bronner, è un maratoneta del piacere! Abbinamento con biscotteria secca ma anche con un formaggio Piemonte Valgrana.
Il costo di 45 euro per la bottiglia da 0,37 lt. di capacità è più giustificato dai 6 anni di lavoro occorrenti per produrlo che comprendono una lunga fermentazione in caratelli di rovere per 5 anni dopo l’appassimento di circa 75 giorni.
Passiamo ai vini dolci rossi con il moscato rosa, un vitigno coltivato in Sicilia fino al 1851 quando un principe Borbone in procinto di prendere in moglie una Asburgo residente sul lago di Caldaro (Bolzano) portò con se delle marze (barbatelle) di moscato rosa per impiantarle nella (oggi) famosa strada del vino nei pressi di Termeno; le notevoli escursioni termiche notturne, il sottosuolo ricco di marne ed arenarie crearono condizioni ideali affinché si ottenesse un magnifico vino dolce ma non troppo, con un profilo aromatico unico in cui i petali di rosa e la violetta troneggiano!
La versione assaggiata è prodotta dall’abbazia di Novacella, eretta nella valle Isarco nel 1142 dai monaci agostiniani ancor oggi presenti a supervisionare la qualità del raccolto; il moscato rosa Praepositus vendemmia tardiva subisce un contatto di 5 giorni con le bucce per conferire il classico aroma di petali di rosa ma è in bocca che stupisce con un sapore deciso minerale e terroso tanto da sembrare una vendemmia tardiva di pinot noir della borgogna! Si è abbinato bene sia ad una cheesecake ai frutti rossi preparata dalle bravissime pasticcere Nadia, Antonella, Tina e Simona del reparto gastronomia dell’iper Colonnella che al formaggio Piemonte Valgrana. Ha un solo problema: crea dipendenza e, non creando affatto assuefazione gustativa, ti spinge a finire la bottiglia per cui, se volete rimanere padroni di voi stessi, non lo assaggiate! Il costo per una bottiglia da lt.0,33 di capacità è di 33 euro.
Il secondo vino dolce rosso è stato un primitivo di Manduria (Taranto) dolce naturale denominato PHILIA(dal greco amicizia) prodotto dall’azienda vitivinicola Feudi Salentini. Il nome del vitigno risiede nella sua maturazione precoce ed è originario della Dalmazia (le odierne Serbia-Montenegro-Croazia); fu portato in puglia circa 2000 anni fa dagli Illiri. Ha un grappolo con acini molto ravvicinati quindi predilige un clima secco, caldo e ventoso per scongiurare il pericolo di muffe e la Manduria è perfetta! Anni fa, i “soliti” americani ne rivendicarono la paternità con il nome di zinfandel ma, dico, come fa una nazione sorta nel 1776 quando l’ultimo colono ne abbandonò il suolo a rivendicare un qualcosa che è stato scoperto quasi 2000 anni prima?
L’abbiamo abbinato a tutto ciò che contiene cioccolato ed ai formaggi stagionati poco astringenti ma il suo punto forte è il costo di 23 euro per la bottiglia da ben 0,75 litri che lo pone primo in classifica per il rapporto prezzo-qualità: l’ultimo vino dolce rosso è un passito proveniente dal modenese precisamente Serramazzoni, splendida collina conosciuta dai ciclisti per le bellezze paesaggistiche; qui, la Cantina del Frignano ha rivalutato un vitigno quasi dimenticato che nel 1700 veniva denominato “AMABILE DI GENOVA” oggi diventato MALBO GENTILE. La Pinona è un vino dolce non stucchevole ben fatto che ha nella percezione dei “sapori verdi” (caratteristica del vitigno che si ritrova anche nella versione secca) ben amalgamati nel “tutto” la sua particolarità!
Ci ha stupito per l’originalità delle caratteristiche e per il fatto che è stato l’ultimo ad essere assaggiato quindi con il palato e la mente “piacevolmente inquinati”. Si è abbinato molto bene a tutti i formaggi ed il costo di 24 euro per la bottiglia da 0,37 di capacità è corretto. In conclusione, abbiamo assaggiato sei vini dolci tutti interessanti di cui tre con una “marcia in più”: lo Sweet Claire per “opulenza piacevole” del vino e per i sentori selvatici, il Vin Santo de Il Borro per la “vinosità” e lunghezza gustativa (dovuti a mani sapienti) ed il malbo gentile per l’originalità dei sapori verdi! Spero di aver stimolato la curiosità dei consumatori ad approfondire la conoscenza di questa tipologia di vini (si possono organizzare delle interessanti cene a base di formaggi e vini dolci) ed i ristoratori a migliorarne l’offerta nelle loro carte dei vini magari proponendo un momento “dolce-salato” a fine pasto con vari tipi di formaggi e passiti!
Stefano Grilli, enotecario – ENOTECA SARAULLO A.D. 1966 – TORTORETO