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Alba Adriatica. Il giudice del lavoro del tribunale di Teramo ha revocato il licenziamento di una docente, in servizio all’istituto comprensivo di Alba Adriatica, accusa dall’ufficio scolastico provinciale (che poi aveva notificato il provvedimento disciplinare) di aver dichiarato l’assenza di condanne penali in occasione della sottoscrizione del primo contratto di insegnamento.
Il provvedimento, inoltre, aveva determinato una serie di reazioni a catena, come la cancellazione dalle graduatorie provinciali (GPS) del 2022 e l’impossibilità ad iscriversi in quelle da aggiornare nel giugno 2024 (vigenti nel biennio 2024-2026) con una formale e sostanziale estromissione dal sistema della docenza.
A ciò si era aggiunta la beffa di anni di studio buttati al vento, poiché la docente nel frattempo aveva conseguito in Italia ben due titoli di specializzazione per il sostegno (per infanzia e primaria) che non poteva più spendere per l’insegnamento.
La donna, insomma, per una crocetta barrata per errore nella sezione delle dichiarazioni rese all’atto della prima assunzione da precaria della scuola, aveva perso tutto, impegno e denaro investito nella qualificazione professionale.
L’avvocato Salvatore Braghini del foro di Avezzano, esperto in diritto scolastico e dirigente sindacale della Gilda Insegnanti, che ha proposto ricorso d’urgenza al Tribunale di Teramo, poi assegnato al giudice Daniela Matalucci della sezione lavoro.
Il legale ha contestato la proporzionalità della sanzione disciplinare in quanto assunta sulla base di condanne risalenti ad un’epoca di molto precedente al contratto di supplenza istaurato con un Istituto Comprensivo di Alba Adriatica e per vicende del tutto estranee al contesto lavorativo della scuola. Peraltro, una delle condanne si riferiva ad un reato che il giorno prima della sentenza penale era stato depennato e l’altra, un decreto penale di condanna, era stata emendata mediante il pagamento di una congrua somma di denaro.
Il giudice del lavoro, a tempo di record, ha adottato un’ordinanza di sospensione dell’efficacia del licenziamento, pubblicata tre giorni dopo l’udienza svoltasi alla fine di luglio e, a distanza di 5 mesi, ha pubblicato la sentenza definitiva, che in 31 pagine espone le corpose motivazioni con cui conferma l’ordinanza cautelare.
La giudice Matalucci, in particolare, ha osservato che la “dichiarazione mendace posta in essere dalla ricorrente riguarda condanne che non avrebbero comunque impedito l’instaurazione del rapporto di pubblico impiego. Non si tratta, dunque, di una falsità che ha inciso sulla validità del rapporto di lavoro, ma si tratta di una falsità ‘funzionale’, nel senso che rileva, ex post, quale condotta disciplinarmente rilevante”.
Il magistrato ha rilevato che la norma relativa alle dichiarazioni mendaci applicata al pubblico impiego, “non determina alcun automatismo sanzionatorio, sicché il licenziamento può essere irrogato a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti”.
Proprio valutando tutte le circostanze concrete del caso – evidenziate dal legale dalla docente nel ricorso introduttivo – ha potuto concludere che “la falsità posta in essere dalla ricorrente, per quanto disciplinarmente rilevante, non sia tale da giustificare il licenziamento senza preavviso”, convertendo la sanzione del licenziamento disciplinare – in quanto sproporzionata – in una sanzione conservativa (la censura).
La docente è stata reintegrata nei suoi diritti acquisiti nelle graduatorie di interesse ed è tornata in cattedra per svolgere la sua professione.