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Teramo

Investiamo sul futuro: i risultati dei primi due anni di INF-ACT

Una grande produzione scientifica, per numero e qualità, l’attrazione di moltissimi giovani, la creazione di una nuova generazione di ricercatori, la capacità di interagire tra gruppi con competenze diverse a livello locale e internazionale hanno portato la ricerca italiana sulle malattie infettive a un livello di assoluto rilievo tra i partner europei.

 

Un risultato che, al di là dei tanti, singoli successi dei nodi di ricerca del Partenariato Esteso MUR-PNRR INF-ACT, rende bene l’idea del positivo clima emerso dal meeting di Pavia del 10-12 settembre 2024.

 

“In quasi due anni abbiamo saputo coinvolgere oltre 60 istituzioni, ma soprattutto stiamo formando una nuova generazione di microbiologi, infettivologi, veterinari, genetisti, igienisti, matematici, medici a cui dare un lessico comune necessario per creare reti collaborative. Abbiamo assunto decine di giovani ricercatori che hanno capito l’importanza del lavoro: loro, presto, saranno pronti per il cambio generazionale” – Federico Forneris, presidente della Fondazione INF-ACT.

 

I due anni di lavoro del Partenariato Esteso INF-ACT hanno portato successi su molti fronti, frutto del lavoro di oltre 700 ricercatori impegnati su 5 macro-temi di ricerca e distribuiti in 25 enti e oltre 40 istituzioni partner ospitanti.

Un enorme gruppo di lavoro composito al cui interno figura anche la rete dei 10 Istituti Zooprofilattici Sperimentali, rappresentata dall’Associazione AIZS, che gioca un ruolo di rilievo nell’affrontare efficacemente la sfida costituita da potenziali malattie infettive emergenti.

 

“È il primo esempio di One Health messo in pratica a livello nazionale” – dichiara Antonia Ricci, direttrice generale dell’IZS delle Venezie e coordinatore dell’AIZS all’interno di INF-ACT – “Le attività del network coinvolgono tutti gli Istituti Zooprofilattici, ciascuno con le proprie competenze e specificità, in un modo sinergico e collaborativo che prima del Covid era impensabile”.

 

Il progetto INF-ACT è stato pensato per coprire l’intera “filiera” della ricerca in ambito sanitario dedicata alle possibili epidemie emergenti. In questi primi due anni il lavoro degli IZS si è concentrato su alcuni nodi di ricerca:

 

Sorveglianza genomica per prevenire lo spillover

INF-ACT ha innescato una nuova spinta collaborativa che sta portando all’innovazione nella sorveglianza genomica e negli strumenti per identificare patogeni emergenti nell’interfaccia uomo, animale e ambiente. La sorveglianza e la ricerca svolte in modo collaborativo possono rafforzare il processo decisionale, fornendo allerte precoci e valutazioni obiettive del rischio e dell’impatto di una epidemia. Un esempio è rappresentato dallo studio delle mutazioni genetiche di molti virus, tra cui quello dell’influenza aviaria H5N1, al fine di valutare il potenziale zoonosico e il rischio di spillover nell’uomo, con particolare attenzione alle categorie professionali più esposte a patogeni potenzialmente pandemici, come veterinari e allevatori.

 

Malattie trasmesse da vettori

Sul versante delle malattie trasmesse da vettori, è stato allestito e reso operativo un database nazionale che raccoglie i dati del monitoraggio degli artropodi vettori, come le zanzare, e dei patogeni da essi trasmessi. Il risultato è dirompente perché consente di ampliare la rete di monitoraggio a livello nazionale, anziché locale, consentendo analisi approfondite e fornendo ulteriore progresso e conoscenza nelle indagini epidemiologiche. Superando l’attuale frammentazione e rendendo disponibili queste informazioni in modo accessibile e centralizzato, possiamo avere mappe di distribuzione delle diverse specie in base alle quali valutare il rischio di trasmissione di virus come Dengue e West Nile.

 

Antimicrobico-resistenza

Nel settore dell’antimicrobico-resistenza è stato creato un network che consente ai ricercatori di tutta Italia di condividere dati cruciali sull’epidemiologia dei geni responsabili della resistenza antimicrobica in ottica One Health. Questo approccio potrebbe permettere la costruzione di piattaforme per una più rapida identificazione dei microrganismi resistenti, favorendo terapie mirate e migliorando l’antimicrobial stewardship.

 

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