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Teramo

Scuola per bambini sordomuti: il Circolo Colibrì è tornata Giulianova

Sayonara Tortoreto

Il Circolo Colibrì è tornato a Giulianova. Ambra Di Pietro ed Egidio Casati, arrivati in città il 17 ottobre, hanno portato a termine il loro ultimo progetto, quello di realizzare in Congo, a Butembo, una scuola per bambini sordomuti. La struttura ospita anche un centro di formazione professionale per adulti.

Il Sindaco Jwan Costantini, il Vice Sindaco Lidia Albani e l’ Amministrazione Comunale, che avevano salutato il Colibrì nei giorni della partenza, si complimentano oggi per avere ottenuto, di nuovo, un grande risultato.
“Per la prima volta – spiega Ambra Di Pietro – abbiamo realizzato un progetto affidato da terzi. Il committente dell’opera, infatti, era la Piccola Missione dei Sordomuti di Roma, che fa riferimento all’Istituto Gualandi. A Butembo erano già stati edificati un seminario e una casa parrocchiale. La Missione voleva agire adesso a favore della comunità locale realizzando una scuola per bambini sordi, che sono numerosissimi. Abbiamo fatto nostro il desiderio e redatto il progetto. Siamo partiti, il 17 settembre, quando i lavori erano già avviati . Il contributo concreto del Colibrì soni stati due container, carichi di materiale e attrezzature utili alla scuola, e con un impianto fotovoltaico che assicurerà l’autonomia energetica. Abbiamo lasciato a Butembo una scuola di 2000 metri quadri, un punto di riferimento per una comunità bisognosa di tutto. Davvero, stavolta, la nostra goccia ha fatto la differenza.”

“ A Butembo- aggiunge Egidio Casati- sono assolutamente necessari aiuti esterni. Il contesto è infatti molto diverso da quello senegalese. Queste popolazioni patiscono una situazione di isolamento pesantissima. In una città di un milione di abitanti, abbiamo incontrato anche chi non aveva mai visto persone non di colore. Torneremo a luglio per festeggiare la fine dei lavori e realizzare un pozzo in un terreno poco distante.
E’ stata un’esperienza lunga, faticosa e segnata da molte incertezze. Anche per questo siamo soddisfatti, forse più che in passato. Fare la propria parte, in Congo, significa sentirsi indispensabili. E alla sensazione di aver dato tanto corrisponde la certezza di avere altrettanto ricevuto”.

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